venerdì 28 giugno 2013

Tasse, diritti e libertà

Un livello di tassazione insostenibile limita la libertà economica a tal punto da pregiudicare il pieno godimento dei diritti civili. Già lo diceva von Mises e la mai troppo ricordata Scuola Austriaca che seguiva quella nobile tradizione per la quale non bastava essere economisti per capire di economia, occorreva anche essere filosofi politici, filosofi della scienza, psicologi, politologi, logici e giuristi. Per avere quella visione più profonda e più larga che un'unica specializzazione non può dare: come non capirono invece mai a Chicago.
Un livello di tassazione insostenibile diventa eminentemente un problema politico: il potere esondante della burocrazia amministrativa che, senza alcun vincolo di responsabilità, fagocita risorse e risparmi privati spiazzandone (il cosiddetto crowding out) gli investimenti, esce dall'ambito di una democrazia liberale.
Chi si occupa di rispetto dei diritti civili, pertanto, non può non occuparsi dei livelli di tassazione: essi costituiscono infatti il mezzo più tradizionale e storicamente più applicato per conculcarli. La schiavitù si realizza attraverso la limitazione dell'autonomia economica grazie al costante intervento dello Stato: in questo senso il titolo che von Hayek diede al suo libro più famoso - The Road to Serfdom - non fu un'iperbole. L'uomo diventa servo quando le risorse per badare a se stesso e alla sua famiglia non bastano più perché assorbite dal Leviatano pubblico, quando un potere centrale decide per lui condizionando le sue scelte private.
Un livello di tassazione e di spesa scellerati non trasformano - come erroneamente, ma efficacemente, diceva uno sciagurato, ma bravo giornalista economico - lo stato in ladro, bensì in tiranno: alimentano una burocrazia irresponsabile a danno dei cittadini più onesti.
Attraverso l'abuso della leva fiscale viene così realizzata l'uguaglianza dell'impotenza di tutti i cittadini onesti davanti alla Pubblica Amministrazione. Per questo l'evasione fiscale, a un certo punto, può essere un moto di ribellione e di affermazione della libertà e della dignità dei cittadini. Non quella dei furbi e dei prepotenti fatti della stessa pasta degli alti burocrati pubblici, ma quella dei cittadini che vivono collettivamente come profonda ingiustizia l'iniquità di un fisco che colpisce anche le risorse che non si posseggono (l'Irap è un caso scandaloso di violenza fiscale).
Quando viene detto che il problema è l'economia, la crisi, lo scenario internazionale, si fornisce una rappresentazione della realtà solo parzialmente veritiera per nascondere che il problema è sempre innanzitutto politico e riguarda i rapporti tra cittadino e stato.
La necessità economica rappresenta solo l'ambito più convincente, il contesto più persuasivo, per giustificare con elementi esogeni (che esistono, ma che non sono mai la causa ultima) le politiche per rendere il cittadino titolare di diritti sempre più deboli e oneri più pesanti. Per limitare la sfera di azione economica e politica dell'individuo attraverso la tecnocrazia pubblica.
In gioco c'è la sottrazione del potere: per il cittadino questo potere è un verbo che, quando diventa sostantivo, si chiama libertà.

lunedì 24 giugno 2013

Il neoliberismo selvaggio, brutto e cattivo del FMI

Per coloro che, avvendolati, spacciano bislacche affermazioni sulle mostruose e affamatrici strategie liberiste del Fondo Monetario Internazionale, ecco quali sono i terribili 10 punti del Washington Consensus così come vennero formulati dall'economista britannico John  Williamson (vd. foto) che li ha ribaditi nel 2000.
1) disciplina fiscale
2) indirizzare le priorità di spesa pubblica verso settori che offrano sia alti ritorni economici sia la possibilità di migliorare la distribuzione del reddito, come l'assistenza sanitaria primaria, l'educazione primaria e le infrastrutture
3) riforma fiscale
4) liberalizzazione dei tassi di interesse
5) tasso di cambio competitivo
6) liberalizzazione del commercio
7) liberalizzazione dei flussi in entrata degli investimenti diretti dall'estero
8) privatizzazione
9) deregulation
10) garanzia dei diritti di proprietà.

Quindi quando vi raccontano la favoletta che le istituzioni internazionali sono cattive perché vogliono il taglio del welfare potete rispondere che sono i governi locali che lo fanno per mantenere i propri privilegi.
Con buona pace di Vendola e di tutti i no global, gli antagonisti, i cooperanti, i sinistri, gli ultrasinistri, i portakefiah, i malrasati, i preti belli, i preti "brutti, ma buoni dentro", i santi dei santi di Emergency, i ginistrada, gli agnoletti e  i "vaffanculo e amen".

Epilogo

La strada vive di negozi, voci,
sorrisi e pensieri da crescere.

Subitanea
dal sole
una goccia
densa di mercurio,
metallico globo agghiacciante,
fende le rarefazioni dell'aria,
diretta verticale
lacera l'atmosfera che stagna
il mondo di sotto,
frange l'asfalto
in città degli affari.
Breve, un fiotto di suono,
rumore sordo,
alza lingue di fuoco,
penetra le viscere del mondo,
l'arancio mortale di fiamma,
acre leva un fumo d'olio.
Di tutti gli umani
restano umide macchie,
carboni già tiepidi.
Superstiti
senza ricordi,
i sassi.
Soli.

giovedì 13 giugno 2013

Tempo di carta

Vivo abitualmente tra stratificazioni pluriennali di scartoffie, con relativa differente stagionatura della polvere. Se mi serve qualcosa, faccio 12 starnuti e trovo tutto: le cose più antiche negli strati più vicini al tavolo, le più recenti in quelli alla cima delle varie torri. Di solito però non mi serve mai nulla e le mie architetture, come palazzi yemeniti di carta, continuano a torreggiare e affinare polvere, forfora, peli di varie consistenze e qualche capello.
Ieri ho iniziato l'opera di smantellamento e bonifica dell'area, un'operazione che mi costa moltissimo perché io sono uno di quelli che non butta via niente perché "non si sa mai" e perché non so distinguere le cose importanti - o supposte tali - da quelle che non lo sono. Ma ieri mi sono messo d'impegno e, con l'anima ferita come una tela di Fontana, ho riempito un cesto di riviste, articoli, stampati, slide, appunti, dépliant: mesi, anni, di lavoro, di progetti e di attese mie e altrui. Migliaia di acari veterani depositatisi su decine di decisioni e buoni propositi. Spesso a chiedermi se me ne fosse mai importato qualcosa di questi lavori e non fossero stati solo un modo poco soddisfacente per procurarmi la pagnotta. La risposta me la dava il corpo: il fastidio fisico, il respiro contratto, l'apnea dello stomaco, nel leggere brandelli di carta prima di eliminarli: corsi di formazione inutili, consulenze mal pagate, o mai pagate, su come usare un po' di buonsenso di pronta beva; parole, paratassi, ipotassi, senza  più alcun contenuto. Ho trovato persino una poesia scritta su un foglio di macchie ingiallite, era appena il '96, e non mi ricordo già più nulla, mi è totalmente estranea, come se il suo ignoto autore si fosse impossessato della mia carta e della mia penna in uno dei pochi giorni in cui non ero alla scrivania, lì, a presidiare il tempo affinché non scorra. Una poesia brutta, ostica, ermetica, ma dal titolo rivelatore per chi sta liberando la sua sfera di sopravvivenza dalle concrezioni e le appannature del passato: "Epilogo".